Ad oggi solo 1 contribuente su 2 sceglie di devolvere il proprio 5×1000 e poco più della metà delle organizzazioni che possono richiederlo lo fa. Noi di BEHONEST ne abbiamo parlato con Massimo Coen Cagli, Direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma e membro del tavolo sulla ricerca di ASSIF (Associazione Italiana Fundraiser). Si parla molto recentemente di trasparenza e accountability, ma quanto sono importanti effettivamente questi due fattori nei riguardi del 5×1000? Puntare alla trasparenza e ad avere sistemi che possano verificarla è certamente importante in questo momento storico, principalmente per 3 motivi: Il primo motivo è che trasparenza e accountability sono temi espressi, in modo anche piuttosto esplicito, nella riforma del terzo settore, ragion per cui gli enti devono inevitabilmente avere un occhio di riguardo in questo momento. Nel caso del 5 per mille è opportuno che si dimostri come vengono utilizzati e gli impatti che i fondi raccolti producono. Il secondo motivo viene dalla lettura dei dati in nostro possesso: il 14% dei contribuenti che non destina il 5×1000 motiva questa decisione con un generico “non mi fido” (fonte: Doxa). Dico generico perché non viene indicato se la mancanza di fiducia sia da riscontrare verso gli enti o verso lo strumento in sé, ma certamente una maggiore trasparenza può alleviare un po’ di questa sfiducia. Il terzo motivo, non meno importante, è che al di là della riforma del terzo settore il principale messaggio che le Istituzioni hanno mandato negli ultimi anni è la necessità per le organizzazioni di avere una maggiore trasparenza e soprattutto un uso più accorto dei propri fondi. A prescindere dalle singole opinioni su quanto possa essere o meno un eccesso di moralismo, è evidente l’influenza che ciò può avere sulla platea di donatori e, quindi, su una comunicazione efficace di questo strumento. Occorre rassicurare in tutti i modi i potenziali donatori del 5 per mille circa la trasparenza e l’efficacia nell’uso dei loro soldi. Questo dal lato del singolo cittadino, mentre dal lato delle organizzazioni? Anche lato organizzazioni c’è e un ampio margine di miglioramento sia nel numero di richiedenti sia nel come viene richiesto. Secondo i dati le associazioni che chiedono il 5×1000 sono circa 60-70 mila più le fondazioni, a fronte di un censimento di 100-150.000 che potrebbero richiederlo. Moltissime quindi sono le organizzazioni che snobbano questa modalità. Perché? La domanda di fondo, secondo me, è quanto non solo lo stato ma il Paese stesso crede che questo sia uno strumento importante. Non ci sono campagne nazionali per sostenerlo, al di là di quelle che fanno le singole organizzazioni non profit. Da una parte si dice che è importante e dall’altra sembra che si faccia di tutto per sminuirlo. In altri casi invece, lo stato promuove, anche con campagne di comunicazione di massa, forme di fundraising, come nel caso dell’Art bonus, ed è sacrosanto essendo uno strumento di agevolazione fiscale potente per le istituzioni culturali pubbliche. Perché non si fa ugualmente alcuna campagna generale sul 5×1000 per favorirne l’adozione e la destinazione? Quindi alla fine tutto si rifà ad un problema di comunicazione…. C’è certamente un problema di comunicazione generale. Da una parte riguarda lo Stato, come detto prima, ma dall’altra parte riguarda le singole organizzazioni, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni che spesso vengono frenate dall’utilizzare il 5×1000 perchè pensano che per avere buoni risultati occorra fare importanti investimenti in pubblicità. Eppure le indagini dimostrano che la platea di chi dà il 5×1000 è composta soprattutto da chi ha già un comportamento donativo e mostra sensibilità alle cause sociali. E quindi, nella maggioranza dei casi, destina il 5 per mille alla stessa organizzazione di cui è già donatore o ad organizzazioni di cui ha conoscenza personale. Il principale canale è quindi quello relazionale, l’utilizzo del passaparola e la coltivazione della propria base di donatori e “seguaci”. Se le organizzazioni invece di pensare che il successo del 5×1000 venga dalla comunicazione pubblicitaria e dai grandi investimenti si concentrassero ad attivare la loro base di relazioni già questo porterebbe a degli ottimi risultati. Aggiungo un’altra cosa, una delle tante proposte che abbiamo fatto durante la fase di elaborazione della riforma del terzo settore: perché il 5×1000 deve essere anonimo? Problemi di Privacy non ce ne sarebbero dato che sarebbe una decisione del singolo contribuente con una semplice spunta indicare se vuole trasmettere i propri dati anagrafici all’associazione a cui devolve il 5×1000. Lasciare al contribuente la scelta di fornire questi dati permetterebbe una maggiore fidelizzazione e di abbassare i costi di acquisizione di nuovi donatori, agevolando quindi le associazioni, soprattutto le medio-piccole, nella campagna di comunicazione del 5×1000. Tornando ai limiti istituzionali, con il DPCM del 23 aprile 2020 si è alzato il tetto minimo per le organizzazioni da 12 a 100 euro. Anche in questo caso i provvedimenti rischiano di essere presi sull’onda di un eccessivo moralismo. Si dice che molte organizzazioni ricavano poco dal 5×1000 e quindi il contributo diventa inutile. Si è allora imposto un tetto minimo perché l’ente lo riceva. Però attenzione. Il 5×1000 permette al cittadino di destinare parte dei contributi che comunque dovrebbe allo Stato ad un’organizzazione di sua scelta. Imponendo un tetto si limita questa scelta del singolo contribuente e quindi si rischia di comunicare che il “buon gesto” del cittadino sia comunque condizionato da una scelta dello stato. Si crea una specie di paradosso perché senza dubbio c’è bisogno di qualcuno che dia delle regole generali, ma bisogna stare attenti a non farlo con un approccio vetero-burocratico amministrativo e con calcoli un po’ astrusi che non guardano ai singoli casi. Ci sono altri fattori secondo lei, dal lato istituzionale, che influenzano negativamente l’utilizzo del 5×1000? Un forte deterrente è certamente il tetto sul 5×1000, per cui quanto erogato dallo Stato risulta inferiore a quanto effettivamente destinato dai cittadini. Anche questo è un aspetto un po’ paradossale, perché da un lato si dice agli italiani che il 5×1000 è uno strumento fondamentale di sussidiarietà e dall’altra si stabilisce che oltre un certo limite non verrà erogato alle organizzazioni scelte. Paradossi come questo non aiutano la platea a prendere sul serio questo strumento. Altro problema sono poi i tempi di comunicazione dei risultati ed erogazione. Per un’organizzazione è impensabile poter valutare l’efficacia di una campagna di fundraising, come per il 5×1000, a distanza di due anni. Un passo avanti sembra esser stato fatto quest’anno, riducendo i tempi ad un anno, ma si può certamente fare di più, anche per non scoraggiare le organizzazioni dal chiederlo. Questi sono certamente due punti su cui si potrebbe migliorare per allargare la platea sia di chi dona il 5×1000 sia di chi lo richiede. Quindi ben venga l’investimento nella trasparenza perché almeno in parte avrà un ruolo nell’aumentare il numero delle sottoscrizioni. Però bisognerebbe occuparsi anche degli altri aspetti per avere un sostanziale aumento nell’utilizzo del 5×1000 e soprattutto il superamento del tetto alle erogazioni. Aumentare il numero di contribuenti ma mantenere un limite alle erogazioni si tradurrebbe semplicemente in una fatica inutile. Massimo Coen Cagli è fondatore e direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma. Docente e consulente senior di fundraising è promotore di una nuova visione del fundraising come strumento di una economia sociale e civile in grado di rendere più sostenibili i processi di sviluppo e di benessere delle comunità, in Italia e nel mondo.5×1000: Intervista a Massimo Coen Cagli