L’importanza della creatività sociale e della solidarietà spontanea per una società migliore
- 7 Luglio 2020
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Il periodo che stiamo vivendo ha imposto a tutti di riflettere, al di là dell’emergenza sanitaria, sui modelli di società che si pensano migliori. Così si è riproposta, da parte di autorevoli commentatori, la necessità di incrementare il peso dello Stato nella vita economica; per contro, si sono evidenziate l’importanza della creatività sociale e della solidarietà spontanea, così come l’intangibilità delle ‘leggi’ del mercato. Si tratta di questioni estremamente complesse, che toccano le visioni di fondo di una società.
Al di là delle polemiche, penso che si possano evidenziare alcuni punti. Lo Stato e le Istituzioni sovranazionali (UE in testa) hanno un ruolo fondamentale, ma non possono fare tutto; proprio per fare bene ciò che devono (a cominciare dalla sorveglianza sanitaria) non possono che collocarsi in una logica sussidiaria a favore degli Enti locali, del mondo delle Imprese e del non-profit. È ciò che prevede anche la nostra Costituzione, ma risulta assai faticoso assicurarne al meglio l’applicazione.
In secondo luogo, si è visto in questi tempi di emergenza come il mondo della società civile abbia manifestato una sua intrinseca forza e creatività, ripensando in tempi rapidissimi a come rispondere ai nuovi bisogni sociali via via emergenti, pur in situazioni difficilissime; la libertà umana, soprattutto nella sua dimensione associata, è “come l’acqua”: se la si blocca da una parte (ad esempio con il lockdown), trova un’altra strada per non stare ferma e costruisce un nuovo alveo per irrigare tutto il tessuto sociale.
Da questo punto di vista le organizzazioni sociali hanno dimostrato grande capacità di organizzazione e di flessibilità; al contempo, il mondo profit (soprattutto le imprese) ha rivelato notevoli capacità di attenzione sociale e di spirito di servizio. È forse finito il tempo delle contrapposizioni fra profit e non profit. Anzitutto, entrambi i mondi non possono essere chiusi in se stessi, ma sono voci e aggregazioni per loro natura connesse e comunitarie. In secondo luogo, creare e preservare il lavoro è – soprattutto oggi – la prima “opera sociale”, in cui il profitto guarda sia ai dati economici sia al contesto sociale, la cui sostenibilità è essenziale per consentire gli stessi risultati di tenuta economica.
D’altro lato, gli enti non profit e del cosiddetto “terzo settore” rappresentano ormai un mondo significativamente strutturato, spesso di notevoli dimensioni, e operano con l’impiego di alte professionalità nel contesto di organizzazioni complesse; certamente occorrono ancora sforzi notevoli (soprattutto nelle piccole realtà) per implementare meccanismi virtuosi di gestione, pubblicità e valutazione, ma negli ultimi anni sembra essersi intrapresa la strada giusta, in analogia con quanto già fatto in molte istituzioni pubbliche e private.
Forse la crisi ha messo in evidenza che nessuno dei tre settori può sussistere senza gli altri e che la tenuta della nostra società ha bisogno dell’interazione fra Stato, Imprese ed enti non profit, senza separazioni manichee o pretese di superiorità da parte di qualcuno.
È auspicabile che anche il mondo culturale e politico prenda piena consapevolezza di questo passaggio, che può rivelarsi assai significativo e positivo per l’intera comunità nazionale e non solo.
MICHELE ROSBOCH
Michele Rosboch è professore associato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Torino. Dal 2016 è anche membro del Consiglio di Amministrazione e dal 2020 ricopre la carica di presidente dell’Istituto di ricerche economiche sociali del Piemonte.